mercoledì 16 marzo 2011

La giusta riforma

E' una riforma punitiva il cui disegno complessivo mina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. È una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini.
Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati

La cosa più preoccupante di questo progetto è la sottrazione della polizia giudiziaria alla disposizione del pubblico ministero.
Pier Luigi Vigna, ex Procuratore nazionale antimafia

Un sistema accusatorio parte dal presuposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l' obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para- giudice.
Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell' indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell' azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell' Esecutivo. E' veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte.
E' necessaria una specie di Fbi anche in Italia?
"Vorrei fare una premessa di carattere più generale sul rapporto magistratura-polizia: ebbene io credo che sia profondamente sbagliata la concezione, che si evince anche dal nuovo codice, secondo cui il Pm è il capo effettivo, addirittura operativo, della polizia giudiziaria. Si è confuso l' organo investigativo con l' organo dell' esercizio dell' azione penale. Il controllo di un Pm che indica alla polizia i modelli giuridici validi e ne controlla l' applicazione è una norma di civiltà, ma il timore che una polizia giudiziaria troppo indipendente possa ledere l' indipendenza della magistratura si è tradotto nella pericolosa e velleitaria utopia di un Pm, magari di prima nomina, superpoliziotto per diritto. E' questa una delle cause della attuale situazione catastrofica, in cui la polizia giudiziaria è indotta a deresponsabilizzarsi, attende istruzioni e si appiattisce sull' inadeguatezza del Pm, divenuto punto di riferimento di ogni possibile errore"
Se negli Stati Uniti la giustizia è più rapida, efficiente e attenta ai diritti della difesa questo dipende anche dallo strumento fondamentale della non obbligatorietà dell’azione penale.
Giovanni Falcone, 3 ottobre 1991

domenica 13 marzo 2011

Una carriera travagliata


Marco Travaglio è un professori­n­o del giornali­smo. Dà le pa­gelle a tutti i colleghi e vi­gliacco che uno prenda almeno una volta la suffi­cienza. Si è autonomina­to erede di Montanelli, con il quale millanta una lunga frequentazione, quasi fossero padre e fi­glio, fin da quando lavo­rava per Il Giornale del quale era, pagato da Ber­lusconi, vicecorrispon­dente da Torino, cioè nul­la. I miei colleghi più an­ziani del Giornale non ri­cordano di averlo mai vi­sto una volta nella reda­zione centrale e scom­mettono che Montanelli non sapeva neppure chi fosse. Quando Indro eb­be la sciagurata idea di mollare la sua creatura per fondare La Voce , Tra­vaglio lo seguì, «uno dei tanti, nulla di più», ricor­dano oggi i compagni di avventura rimasti sulla strada. A parte questa piccola mitomania, di Travaglio giornalista non si ricor­da nulla. Ha avuto più for­t­una con le carte giudizia­rie trasformate in libri, grazie ai quali ha fatto sol­di e raggiunto la fama. Ie­ri ha stroncato pure Giu­l­iano Ferrara e il suo ritor­no in tv da lunedì, ogni se­ra dopo il Tg1. Egocentri­co e invidioso, Travaglio ha sentenziato che Ferra­ra non è un giornalista. La prova? Il Foglio , quoti­diano diretto da Ferrara, vende poche copie, mol­te meno del suo Il Fatto. Sai che ragionamento. È come se il proprietario di un sexy-shop si vantasse di avere più clienti di una galleria d’arte. Per curiosità, siamo an­dati a vedere come sono finiti gli scoop di Trava­glio campione di giorna­lismo senza macchia. Ec­co un elenco, probabil­mente incompleto, delle sue prodezze. Salvo erro­ri ed omissioni, la situa­zione è questa (il voto lo lasciamo a voi lettori). Nel 2000 è stato con­dannato in sede ci­vile, dopo essere stato ci­tato in giudizio da Cesare Previti a causa di un arti­colo su L’Indipendente , al risarcimento del dan­no quantificato in 79 mi­lioni di lire. Il 4 luglio 2004 è sta­to condannato dal Tribunale di Roma in se­de civile a un totale di 85.000 euro (più 31.000 euro di spese processua­li) per un errore di omoni­mia contenuto nel libro La repubblica delle bana­ne scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001. In esso, a pagina 537, si descriveva «Falli­ca Giuseppe detto Pippo, neo deputato Forza Italia in Sicilia», «commercian­te palermitano, braccio destro di Gianfranco Mic­cichè... condannato dal Tribunale di Milano a 15 mesi per false fatture di Publitalia. E subito pro­mosso deputato nel colle­gio di Palermo Settecan­noli ».L’errore era poi sta­to trasposto anche su L'Espresso , il Venerdì di Repubblica e La Rinasci­ta della Sinistra , per cui la condanna in solido, oltre­ché su Editori Riuniti, è stata estesa anche al grup­po Editoriale L’Espresso. Il 5 aprile 2005 è sta­to condannato dal Tribunale di Roma in se­de civile, assieme all’allo­ra dir­ettore dell ’Unità Fu­rio Colombo, al pagamen­to di 12.000 euro più 4.000 di spese processua­li a Fedele Confalonieri (presidente Mediaset) dopo averne associato il nome ad alcune indagini per ricettazione e riciclag­gio, reati per i quali, inve­ce, non era risultato inqui­sito.
Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha con­dannato a risarcire Fede­le Confalonieri, presiden­te di Mediaset, con 6.000 euro, a causa dell’articolo «Piazzale Loreto? Magari» pubblicato nella rubrica Uliwood Party
su l’Unità il 6 luglio 2006


Nel giugno 2008 è stato condannato dal Tribu­nale di Roma in sede civile, as­sieme al direttore dell’ Unità Antonio Padellaro e a Nuova Iniziativa Editoriale, al paga­mento di 12.000 euro più 6.000 di spese processuali per aver descritto la giornali­sta del Tg1 Susanna Petruni come personaggio servile ver­so il potere e parziale nei suoi resoconti politici: «La pubbli­cazione- si leggeva nella sen­tenza - difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto diffa­matorio ».


Nel gennaio 2010 la Cor­te d’Appello penale di Ro­ma lo ha condannato a 1.000 euro di multa per il reato di dif­famazione aggravato dall’uso del mezzo della stampa, ai dan­ni di Cesare Previti. Il reato, se­condo il giudice monocratico, sarebbe stato commesso me­diante l’articolo «Patto scellera­to tra mafia e Forza Italia» pub­blicato sull’ Espresso il 3 ottobre 2002. La sentenza d’appello ri­forma la condanna dell’otto­bre 2008 in primo grado inflitta al giornalista ad 8 mesi di reclu­sione e 100 euro di multa. In se­de civile, a causa del predetto re­ato, Travaglio era stato condan­nato in primo grado, in solido con l’allora direttore della rivi­sta Daniela Hamaui, al paga­mento di 20.000 euro a titolo di risarcimento del danno in favo­re della vittima del reato Cesare Previti. Pochi giorni fa, in attesa della sentenza di Cassazione, il reato è caduto in prescrizione grazie ad una inspiegabile len­tezza dei giudici a scrivere le motivazioni.


Il 28 aprile 2009 è stato condannato in primo grado dal Tribunale penale di Roma per il reato di diffa­mazione ai danni dell’allo­ra direttore di Raiuno, Fabri­zio Del Noce, perpetrato mediante un articolo pub­blicato su l’Unità dell’11 maggio 2007.


Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazio­ne ( Terza sezione civile, senten­za 22190) al risarcimento di 5.000 euro nei confronti del giu­dice Filippo Verde che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro Il ma­nuale del perfetto inquisito , af­fermazioni giudicate diffama­torie dalla Corte in quanto riferi­te «in maniera incompleta e so­stanzialmente alterata» visto il «mancato riferimento alla sen­tenza di prescrizione o, comun­que, la mancata puntualizza­zione del­carattere non definiti­vo della sentenza di condanna, suscitando nel lettore l’idea che la condanna fosse definiti­va (se non addirittura l’idea di una pluralità di condanne)».


Il 18 giugno 2010 è stato condannato dal Tribuna­le di Torino- VII sezione civile ­a risarcire 16.000 euro al presi­dente del Senato Renato Schifa­ni ( che aveva chiesto un risarci­mento di 1.750.000 euro) per diffamazione, avendo evocato la metafora del lombrico e del­la muffa a Che tempo che fa il 15 maggio 2008.
(http://www.ilgiornale.it/)

martedì 8 marzo 2011

8 marzo

Ci sono donne, ragazze, bambine che oggi non festeggiano.
Non hanno mai festeggiato perchè non hanno nulla da festeggiare, perchè a loro non è permesso.
Perchè la loro vita appartiene ad altri.
La loro vita fatta di violenze, abusi, sottomissione. La loro non vita.
Non siamo così folli da pensare di poter cambiare il mondo.
Abbiamo la speranza che la comunicazione aiuti a far apprezzare il concetto di LIBERTA'.