martedì 9 giugno 2009

Il mondo che vorrei

Sarebbe bello vivere nel mondo disegnato da Obama al Cairo, ma il senso di realtà suggerisce che non sarà possibile.

Il presidente americano si è presentato come la prova vivente della negazione del conflitto di civiltà, un giovane uomo cresciuto senza conflitto fra islam e cristianesimo, il padre e il nonno musulmani, la madre cristiana e bianca, gli Stati Uniti il porto d’arrivo, dove anche l’islam è una componente indispensabile. "In fondo abbiamo principi simili, quelli dei diritti umani". Ma non è così.
Prima di tutto la storia dei diritti umani è saldamente ancorata all’Europa e agli Usa, non giace anche in qualche anfratto delle satrapie mediorientali pronta a saltare fuori. In secondo luogo la storia delle due culture è sempre stata conflittuale, e mentre le nostre masse lo hanno dimenticato quelle islamiche invece ne fanno la bandiera di ogni giorno, a scuola, in piazza. Non si tratta di fenomeni marginali: lo testimoniano le enormi piazze di Hamas e degli hezbollah, la determinazione dei talebani e di Al Qaida, la laboriosa strategia atomica e terrorista dell’Iran che dal 2005 minaccia prima di tutto gli arabi moderati.

"L’islam ha un’orgogliosa tradizione di tolleranza. Lo si vede nella storia dell’Andalusia e di Cordoba durante l’Inquisizione".
Falso storico: Cordoba, Granada furono testimoni di eccidi musulmani di ebrei, come anche il Marocco, l’Algeria, la Libia, l’Irak, la Siria, l’Iran, lo Yemen, l’Egitto.
Lo scontro con il cristianesimo, poi, è così lungo e profondo che non basterà il viso contrito e deciso di Obama a portare pace.

Ma su tutti gli aspetti del discorso uno è quello meno convincente: tende la mano a tutti.
Alleati fedeli e moderati, regimi oltranzisti, fanatici e ostili. Ma essendo indiscriminata, l’offerta di dialogo rischia di essere interpretata come una prova di debolezza, anziché di forza.
La pace non si fa invocandola ad ogni costo.
La democrazia non si esporta, l'inviolabilità dei diritti umani neanche.

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